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L’analisi della corsa

analisi della corsa

Nel gesto della corsa si possono distinguere 3 fasi:

  • la fase di contatto (di ammortizzazione) che dura il 25%  del tempo totale
  • la fase d’appoggio (di stabilizzazione)  che occupa il 40% del tempo
  • la fase di spinta (di propulsione) che impegna il restante 35%.

La fase di contatto avviene solitamente con il tallone che cerca terra con il bordo laterale: è comunque il momento d’impatto più forte, nel quale il piede subisce un trauma meccanico importante. Da qui la necessità di una scarpa realizzata in materiale adatto ad assorbire l’urto e in grado di mantenere le qualità elastiche nel tempo. E’ inoltre responsabilità dell’atleta a cambiarla dopo un certo numero di km.

Nella fase centrale il piede dovrebbe compiere un movimento di pronazione, andando a cercare maggiore superficie di contatto col suolo. Il piede in questa fase si carica di energia: si comporta come una molla che avvicina le sue spire. Laa rotazione verso l’interno non deve però essere esagerata per non avere un’errata distribuzione dei carichi sul piede  e una compromissione sia dell’efficacia che dell’innocuità della fase successiva. Con il piede eccessivamente pronato infatti, l’azione del tendine d’Achille avverrebbe in maniera scorretta e minacciante la sua integrità.

La fase di propulsione vede il piede compiere un movimento di supinazione che da una parte accentua l’arco longitudinale del piede e dall’altra rimette il tallone pronto al “contatto” successivo. La contrazione del muscolo del polpaccio (tricipite)   rilascia l’energia immagazzinata nella fase precedente.

Iperpronazione: quando il piede prona eccessivamente si assiste a un maggiore stress di tutti i muscoli coinvolti nel gesto atletico in cui quelli stabilizzatori della seconda fase devono collaborare anche alla spinta in avanti e quelli propulsivi devono intervenire anche a stabilizzare l’appoggio. Le patologie più frequenti in caso di iperpronazione del piede sono: la tendinite del tendine d’Achille, la fascite plantare associata o meno alla spina calcaneare, la periostite tibiale, la sindrome della bandelletta (ginocchio del corridore), ipercarico del primo raggio del piede (fino alle sesamoiditi).

Lo scarso movimento di pronazione provoca più frequentemente una patologia inserzionale del tendine d’Achille, metatarsalgia ed eventuale neuroma di Morton.

Per ovviare a questi “difetti” i produttori di scarpe hanno messo sul mercato diversi modelli, con tecnologie e concezioni diverse.

Tutto il corpo poi risente dell’impatto del piede al suolo in termini di qualità e quantità: chiaramente una corsa lunga è più traumatica di una breve  ma anche la falcata e la modalità d’appoggio del piede alterano i livelli di carico su tutte le articolazioni.

A livello del ginocchio, il piatto tibiale riceve carichi su zone differenti  nelle diverse fasi della corsa e un’alterato movimento del piede determina alterazione della meccanica del ginocchio e conseguenti stress a livello di questa articolazione con conseguente impegno anche delle strutture muscolari. Uno stile di corsa scorretto amplifica questi squilibri.

Anche il rachide è influenzato dalla biomeccanica del piede e un’alterata rotazione di quest’ultimo può comportare anomale rotazioni lombari, sbilanciamenti del bacino e conseguenti sintomatologie algiche lombari.

Ecco perché ad oggi i principali produttori di apparecchiature elettroniche usate dai runner si sono specializzati in software in grado di analizzare diversi parametri durante la corsa:

  • il tempo di contatto con il suolo: tanto più breve quanto più l’atleta è veloce e riesce ad avere una tecnica tale da ottimizzare al massimo la rullata del piede;
  • il bilanciamento del tempo di contatto dei due piedi: parametro che può variare molto durante le corse in pendenza sia positiva che negativa e quando si è stanchi;
  • la cadenza, ossia il numero di passi al minuto, che fornisce importanti informazioni sullo stile di corsa. Gli atleti di resistenza tendono ad avere una cadenza maggiore accompagnata da una falcata più corta – il cosiddetto passetto del maratoneta – tecnica  che consente di diminuire il rischio di infortuni a carico delle articolazioni;
  •  la lunghezza del passo è un altro importante parametro di valutazione della tecnica di corsa ed è dovuto anche alle caratteristiche strutturali del soggetto (altezza, forza ed elasticità muscolare);
  • l’oscillazione verticale, tanto più bassa quanto più il passo è  efficace e lo sforzo muscolare si traduce in accelerazione orizzontale e non in un rimbalzo;
  • il rapporto tra questi ultimi due valori fornisce indicazione sull’efficienza della corsa e considera il fatto che accelerando è fisiologico che comunque aumenti l’oscillazione verticale.

Tutte queste considerazioni a confermare quanto sia importante una regolare frequentazione di figure professionali specializzate: il fisioterapista e il tecnico della corsa che insieme possono migliorare la postura, l’equilibrio e l’elasticità delle varie strutture muscolari e il gesto atletico.

 

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia