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Metodo McKenzie

sfinge McKenzie

Il metodo McKenzie, dal nome del fisioterapista neozeolandese che l’ha messo a punto nasce come metodo valutativo e terapeutico-conservativo di quelli che sono i disturbi meccanici della colonna vertebrale. Prevede tre momenti:

  • 1. Diagnosi meccanica
  • 2. Trattamento meccanico
  • 3. Prevenzione delle recidive

1. Diagnosi meccanica:
Nel 90% dei casi di mal di schiena  la struttura che causa la sintomatologia non è ben definita. L’approccio McKenzie ovvia al problema classificando i pazienti in tre sindromi, a partire dal meccanismo che provoca il dolore. Un’attenta anamnesi permette infatti lo  studio dell’effetto che alcuni movimenti e posizioni provocano alla sintomatologia. Il dolore rachideo secondo McKenzie è infatti perlopiù provocato da abitudini di vita scorrette: postura e movimenti quotidiani.
2. Trattamento meccanico:
Il trattamento prevede l’applicazione di forze  meccaniche generate dalle posture e da esercizi eseguiti dal paziente stesso e da mobilizzazioni  eseguite da un fisioterapista. L’obiettivo è prima di tutto antalgico e poi il ripristino della piena funzionalità.

sfinge McKenzie

Fig.1 Posizione della “Sfinge”, tipica del metodo McKenzie
3. Prevenzione delle recidive:
L’insegnamento al paziente delle norme comportamentali e il proseguimento di sessioni di esercizi domiciliari in autogestione permetteranno al paziente di ridurre i rischi di nuovi episodi acuti e invalidanti.

La patologia lombare in particolare secondo MCKenzie è classificabile in tre sindromi fondamentali: posturale, da disfunzione e da derangement. La classificazione viene fatta in fase di valutazione sull’effetto provocato da determinati movimenti ripetuti e dal mantenimento di alcune posizioni nel tempo.

il carico sulla colonna lombare è molto variabile a seconda dell'attività che viene svolta

Fig.2 Entità del carico lombare a seconda dell’attività svolta

Si ha quindi:

  • Sindrome posturale: i movimenti ripetuti non hanno nessun effetto sui sintomi che invece sono provocati da posture prolungate. Sono i tessuti molli che rispondono all’eccessivo carico sulla struttura.
  • Sindrome da disfunzione: è il movimento a fine escursione che provoca il dolore rachideo, sempre allo stesso punto e con lenta variabilità. Il sintomo è causato da tessuto fibroso “accorciato” che viene stirato quando il movimento viene portato all’estremo, anche per la presenza di una cicatrice ad esempio.
  • Sindrome da derangement: è la ripetizione di alcuni movimenti che che provoca, allieva o modifica in qualche modo il dolore nell’intensità e nella localizzazione. Si introducono i concetti di centralizzazione e periferalizzazione del dolore a seconda della localizzazione della sintomatologia in risposta alle prove di movimento. In questo quadro diagnostico McKenzie si concentra partendo dal presupposto che il disturbo meccanico sia all’interno  del disco intervertebrale a seguito di una deformazione/spostamento della componente gelatinosa dello stesso.A condizione che questa sofferenza non sia già diventata protrusione o ernia, il recupero può essere abbastanza veloce con la terapia meccanica proposta. Nei casi più severi, laddove ci siano gìà evidenti segni di compressione di una radice nervosa con sintomatologia riferita dal paziente lungo un arto, il trattamento necessiterà di tempi più lunghi.

 

sofferenza del disco intervertebrale

Fig.3 Compressione della radice nervosa da parte del disco

Il primo obiettivo da raggiungere è la centralizzazione del sintomo ossia la ricerca di quelle posture e movimenti che riportano la sintomatologia all’origine della problematica (la colonna verterbrale). La responsabilizzazione e l’educazione meccanica  del paziente concorrono a stabilizzare i miglioramenti ottenuti e ad evitare recidive.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia