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stitichezza

Stitichezza e fisioterapia

La stitichezza

La  stitichezza (o stipsi)  è la difficoltà dell’espletamento della funzione di defecazione. Può esprimersi come evacuazione rara, come scarsa in quantità e difficoltosa. Il range di normalità in termini di frequenza è considerato normale dalle te evacuazioni al giorno alle tre settimanali.

È un  sintomo che interessa circa il 15% delle persone con maggior incidenza nel sesso femminile, in età avanzata e nei soggetti stressati.

Cause

La stitichezza può essere un fenomeno temporaneo frequente in particolari situazioni: gravidanza, viaggi (con le variazioni del comportamento alimentare), periodi di ipomobilità (malattie e infortuni), uso di farmaci.

La stipsi cronica riconosce come cause le disfunzioni motorie del tubo digerente, patologie infiammatorie, croniche e tumorali dell’intestino, alcune patologie neurologiche.

Sintomatologia

Alla  riduzione della frequenza di evacuazioni si aggiunge lo sforzo eccessivo per effettuarle fino al ricorso a clisteri supposte e manovre manuali. Le feci prodotte sono spesso dure e alterate nella forma.  Dolore addominale e sensazione di gonfiore si  associano spesso.​

Diagnosi

​Sarà il medico a diagnosticare la causa della stitichezza e a suggerire le modifiche nello stile di vita atte a combatterla. Molto spesso è infatti sufficiente regolamentare l’alimentazione introducendo più liquidi e fibre e praticare con costanza una seppur blanda attività fisica. Importante  anche la regolarità dell’orario dei pasti e del tempo da dedicare alla “seduta“. L’intestino è terribilmente abitudinario. I lassativi saranno consigliato solo all’occorrenza.

La fisioterapia

Spesso la problematica è solo funzionale. La defecazione è infatti possibile quando allo sforzo del ponzamento corrisponde un rilasciamento del muscolo puborettale per permettere il passaggio delle feci. Il fisioterapista può in questi casi aiutare attraverso la riabilitazione del pavimento pelvico.

Esiste inoltre una “postura” ideale per favorire l’evacuazione ed è sempre compito del fisioterapista insegnare i trucchetti per mantenerla mentre si  pratica la respirazione diaframmatica, utile anche in bagno in quanto esercita una sorta di massaggio a favorire la peristalsi intestinale. Alcune sedute di trattamento manuale sull’addome insegnando anche al paziente delle tecniche di automassaggio possono essere sicuramente utili.

La reflessologia plantare inoltre può attivare e sbloccare fino a regolarizzare le funzioni di un intestino pigro.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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sport e schiena

Sport e schiena

Lo sport storicamente viene spesso demonizzato di primo impatto con tutti i problemi di schiena, a partire dalla scoliosi dell’età evolutiva fino alle lombalgie dell’adulto. Si sottovaluta in questo modo il valore del benessere psicologico derivante dal passare del tempo impegnati in un’attività piacevole. L’attività fisica inoltre migliora la percezione del proprio corpo e l’orientamento spaziotemporale: diventa una sorta di ginnastica propriocettiva divertente! Per quanto riguarda i bambini e gli adolescenti,  lo sport aiuta anche nello sviluppo delle qualità relazionali con sé stessi e con gli altri.

Al massimo, soprattutto in passato, molti medici consigliavano il nuoto, a volte addirittura come terapeutico in caso di scoliosi . Questo effetto, se da una parte è riconducibile a quanto appena esposto, dall’altra non tiene conto di come il corpo è effettivamente impegnato nella pratica rispetto alle necessità che si possono avere nelle diverse patologie rachidee.

Sfatiamo alcuni miti:

NUOTO

Se per certi aspetti si può avere vantaggio nell’escludere il corpo dai vincoli della gravità e nel coinvolgere in toto il corpo in un attività fisica intensa, dall’altro presenta alcuni aspetti da considerare caso per caso. La posizione di galleggiamento obbliga la colonna lombare  in posizione di iperlordosi. Questa situazione può essere sconsigliata in molte patologie lombari, nonché proprio nella scoliosi, deformità che viene accentuata dall’estensione della colonna e l’iperlordosi è un’iperstensione.

La profonda inspirazione tende inoltre a far progredire la rotazione vertebrale a livello dorsale. Sarà quindi con l’aiuto delle valutazioni fisioterapiche capire se il nuoto risulta consigliabile  o meno  a seconda del caso in questione

L’ulteriore critica da fare è che il lavoro muscolare svolto in acqua non è da ritenersi funzionale alle posture della quotidianità.

SPORT ASIMMETRICI

Se da un lato non si può considerare terapeutica un’attività sportiva che impone la ripetizione di un gesto atletico eccessivamente asimmetrico, di contro non si può pensare   di peggiorare una deviazione come la scoliosi. Ciò viene dimostrato dagli studi sui tennisti portati avanti negli anni che a fronte di un braccio più sviluppato dell’altro non presentano maggior incidenza o gravità delle scoliosi.

GINNASTICA ARTISTICA

Costringe a posture in iperlordosi sotto carico soprattutto nelle bambine per cui di norma è sconsigliata la pratica troppo assidua in età evolutiva. Si precisa il “troppo assidua” perché, tranne in situazioni estreme, deve essere comunque consentita in età di sviluppo la pratica dell’attività fisica che dovesse essere desiderata dall’individuo.

EQUITAZIONE

A fronte dei traumi che la colonna subisce, soprattutto se cavalieri inesperti, è uno sport  che sviluppa equilibrio e stabilità rachidea: deve essere anche questo sport valutato caso per caso.

In conclusione, ricordiamo che “Il movimento è spesso in grado di sostituirsi alla medicina. Nessuna medicina può sostituirsi al movimento” (Tissot).

Si ritiene che qualsiasi indicazione e  proscrizione debba essere personalizzata in base a età, sesso, patologia nonché attitudini e preferenze del soggetto. In questo modo  la pratica sportiva, che non può sostituire la chinesiterapia specifica del caso, diventa un momento di benessere psico-fisico.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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spalla congelata

FAQ CAPSULITE ADESIVA

Che cos’è la capsulite adesiva (o spalla congelata)?

La capsulite adesiva è una patologia a carattere infiammatorio che causa dolore e invalidità del paziente. Si ha un’importante limitazione dei movimenti e dolore costante, ingravescente nella notte (fino a rendere difficile il sonno) e che rende  impossibile anche la normale gestualità.

Quali sono le cause della capsulite adesiva?

Le cause non sono chiare; quello che si è notato è una maggiore incidenza di casi nelle donne tra i 35 e i 50 anni e nei soggetti con:

  • patologie metaboliche come diabete e ipo/ipertiroidismo;
  • patologie già lamentate alla spalla come lesioni alla cuffia dei rotatori o artrosi acromion-claveare;
  • patologie autoimmuni, morbo di Parkinson e sofferenza cardiaca.

Si teorizza inoltre  una somatizzazione di alcune sofferenze psicologiche e si segnala che durante la pandemia di COVID-19 sono aumentate di quasi il 40% le diagnosi di capsulite adesiva.

Come si fa la diagnosi ?

L’esame clinico è normalmente  sufficiente al medico per riconoscere la  capsulite adesiva testando la mobilità dell’articolazione nella capacità di eseguire determinati movimenti. Le indagini strumentali servono perlopiù ad escludere altre patologie coesistenti.

Come si manifesta la capsulite adesiva?

Normalmente si manifesta in maniera subdola ma progressiva e lenta, riconoscendo tre fasi:

  • Nella prima prevale il dolore eseguendo  i movimenti dell’articolazione che restano comunque possibili mentre l’escursione articolare si riduce gradualmente. Questa fase dura in media fra i due e i nove mesi.
  • Nella seconda fase si assiste a una  leggera riduzione del dolore, mentre si riducono i movimenti possibili. Questa fase dura in media fra i quattro e i nove mesi.
  • L’ultima fase,  di “scongelamento”, vede un progressivo incremento delle  possibilità di movimento articolare.  Questa fase può durare fino a  due anni.

Come si tratta la capsulite adesiva?

Detto che i tempi di recupero sono piuttosto lunghi, il tratta mento deve mirare alla riduzione della sintomatologia algica e al recupero della funzione articolare.

Il trattamento fisioterapico è elettivo per il recupero della mobilità, il risultato  analgesico può essere incrementato da farmaci antinfiammatori e antidolorifici prescritti dallo specialista.
La fisioterapia prevede chinesiterapia tarata  su un preciso protocollo che nelle prime sedute “forza” alcuni movimenti, escludendone e proscrivendone nella maniera più assoluta altri. Si associano tecar, ultrasuoni e laser. In questa fase il medico specialista può decidere di intervenire aiutando il recupero con delle infiltrazioni di corticosteroidi.

L’intervento chirurgico in artroscopia di  rimozione di parte del tessuto capsulare deve essere considerato ultimo step dei casi più ostici.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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materasso giusto

Come scegliere il materasso

Scegliere il materasso

Se si soffre di mal di schiena o anche si vuole evitare di cominciare a soffrirne è importante dormire bene. Dormiamo circa un terzo della nostra vita: è fondamentale rispettare il nostro corpo durante il sonno.

Unn proverbio irlandese recita: Una bella risata e un lungo sonno sono le migliori cure nel libro del medico.  La scelta del materasso giusto  è il primo passo per assicurarsi la migliore condizione di sostegno alla colonna vertebrale che deve mantenere le sue curve fisiologiche.

Ripassiamo innanzitutto un po’ di anatomia.

Le 7 vertebre cervicali sono disposte in modo da formare una curva a concavità posteriore (lordosi cervicale); le 12 vertebre toraciche in modo da formare una curva a concavità anteriore (cifosi dorsale); le 5 lombari di nuovo a concavità posteriore (lordosi lombare).

colonna vertebrale

Fig.1 La colonna vertebrale vista dal davanti, di profilo e da dietro. Si evidenzia come sul piano frontale la colonna sana sia “dritta”, mentre sul piano sagittale presenti delle curve atte a garantire maggiore tolleranza ai carichi.

Queste zone devono aver garantito il giusto sostegno per evitare che le curve siano ridotte o troppo accentuate nel mantenimento prolungato della stessa posizione; compresa quella distesa. È quindi da consigliare sempre di sacrificare l’apparente comfort percepito su un materasso troppo morbido orientando la scelta su un materasso di rigidità medio-alta. Su un materasso eccessivanente morbido è inevitabile che il bacino (pesante) “sprofondi” facendo assumere a tutto il corpo una forma a banana, come se si stesse su un’amaca.

Fig. 2 La posizione che si assume stando distesi su un’amica rende la colonna vertebrale un’unica grande cifosi

Le linee guida Europee sconsigliano altresì un’eccessiva rigidità perchè la pressione prolungata su alcuni punti provocherebbe problemi circolatori che, seppur momentanei, disturberebbero la qualità del sonno.

Come scegliere il materasso?

Non esiste un materasso unanimamente riconosciuto meglio degli altri. Una cosa però è certa: quando il sonno è spesso disturbato e/o ci si sveglia spesso con la schiena indolenzita, il materasso su cui si dorme non va più bene. La prova che si può fare nei negozi stendendosi sopra le varie offerte può non essere sufficiente: la percezione che si ha in pochi minuti può essere completamente diversa da quello che accade quando si sta sul materasso per diverse ore. Prima di affrontare la spesa, visto che ma non esiste un “indice di rigidità” valido per tutti  vale la pena fare dei test con il materasso in possesso. Si può verificare se dovrebbe essere più duro provando a dormire qualche notte con il materasso appoggiato a terra, se non si vuole comprare una tavola di prova da mettergli sotto; o più morbido togliendo qualche doga dalla rete di sostegno: attenzione a non togliere quelle al livello dei punti più pesanti del corpo che devono rimanere ben sostenuti (testa, spalle e bacino).

Quale materasso scegliere?

Materasso a molle: il numero di molle ideale è di circa 800 per garantire un giusto sostegno, ma molto dipende anche dalla qualità delle molle, quindi evitare di scegliere quelli esageratamente economici. Particolarmente consigliati ai soggetti in sovrappeso per i quali è ancora più importante puntare sulla qualità del prodotto per evitare usura precoce.

Materassi in Memory foam: la mescola nella quale sono realizzati li rende modellabili in base alla temperatura del corpo. Questo ne garantisce l’adattabilità alle curve e la riduzione dei punti di pressione, restituendo di contro una percezione di più calore. Limitano i movimenti notturni, indicati per chi soffre di artralgie. Recentemente si usa uno strato di rivestimento su quelli a molle.

Materassi in lattice: con carattaristiche simili al memory foam, hanno il vantaggio di essere realizzati in materiale naturale che però ne aumenta la suscettibilità all’umidità.

In che posizione dormire

Si sconsiglia la posizione prona sia per la forma che la colonna assume, sia per le difficoltà respiratorie che ne scaturiscono ma è difficile decidere: anche riconoscendo una posizione preferita, durante il sonno quasi inevitabilmente si cambia molte volte.

Il cuscino

Determinante soprattutto per il collo, un buon cuscino aiuta a trovare la posizione per dormire bene. Ideale il cuscino anatomico, da togliere quando si dorme proni (che, come detto, sarebbe meglio evitare).

cuscino anatomico

Fig. 3 Cuscino anatomico con due altezze diverse ai margini, adattbile alle diverse posizioni di riposo

Il classico cuscino a saponetta è da preferire più basso da supini e un po’ più alto sul fianco per far sì che il collo rimanga allineato al resto della colonna vertebrale. Un piccolo cuscino in più può rendere le diverse posizioni più comfortevoli: sotto le ginocchia da supini, tra le ginocchia se si sta sul fianco, sotto la pancia se proprio non si riesce ad evitare la posizione prona.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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come sedersi alla guida

Come sedersi in auto

Come sedersi in auto?

I viaggi in automobile sono spesso motivo di stress fisico soprattutto a carico della colonna vertebrale. Complice la tensione dovuta alla concentrazione della guida capita di scendere dall’automobile, anche dopo brevi tragitti, con dolenzie diffuse. Non sono rari: colonna rigida, difficoltà ad effettuare movimenti anche semplici sia con le gambe (direttamente dipendenti dal tratto lombare), sia con il collo. La stanchezza degli occhi, tenuti fissi nella stessa direzione, contribuisce inoltre ad aumentare il malessere generale ed ad amplificare la percezione del disagio.

Il tema della corretta posizione in automobile per chi è alla guida interessa  anche l’ambito della sicurezza stradale: una posizione confortevole, libera da fastidi non distrae il guidatore e rende i suoi riflessi più efficienti.

Esiste quindi uno studio portato avanti da anni sulla posizione ottimale di schiena, gambe e braccia per affrontare spostamenti in automobile senza pagarne conseguenze in termini di benessere. Le case automobilistiche contribuiscono  fornendo le automobili di sedili ergonomici, progettati per sostenere le fisiologiche curve della colonna vertebrale ma molta responsabilità la deve assumere anche il soggetto nel posizionarsi alla guida.

Gli arti superiori

La distanza del volante deve permettere alle braccia di non essere né eccessivamente distese sovraccaricando i  muscoli della spalla, né con gomito troppo flesso rendendo difficili le manovre di rotazione affaticando la muscolatura cervicale.

come sedersi in auto

Fig. 1 Con atteggiamento a braccia troppo distese  si ha un interessamento dei muscoli deltoidei e cervico-dorsali (foto tratta da “Lesioni traumatiche da cinture di sicurezza e air-bag” – Andrea Costanzo, Lombardo Editore)

come sedersi in auto

Fig. 2 Con atteggiamento a gomiti troppo flessi del guidatore aumenta la tensione della muscolatura cervico-dorsale (foto tratta da “Lesioni traumatiche da cinture di sicurezza e air-bag” – Andrea Costanzo, Lombardo Editore)

Gli arti inferiori

La distanza  dai pedali non deve essere eccessiva: il piede deve essere comodo sul pedale in modo da consentire gradi sia in flessione che in estensione della cavigliasenza affaticare la catena muscolare della gamba. Un arto troppo in tensione per raggiungere il pedale avrebbe difficoltà ad estendersi per premere sul pedale stesso. Una caviglia  già molto flessa nell’appoggiarsi sul pedale richiederebbe eccessivo sforzo del muscolo tibiale e dei muscoli di tutta la catena. Tra questi anche il muscolo psoas, responsabile spesso di rigidità e dolenzia lombare.

Fig. 3 Attivazione costante dei muscoli tibiale anteriore, quadricipite femorale ed ileo-psoas durante le azioni dei piedi sui pedali (foto tratta da “Lesioni traumatiche da cinture di sicurezza e air-bag” – Andrea Costanzo, Lombardo Editore)

Il tronco

La posizione ottimale è garantita dall’osservazione di precisi angoli in cui mantenere le varie articolazioni. Completa l’assetto una leggera inclinazione indietro dello schienale in modo da garantire appoggio a tutta la colonna vertebrale e uno scarico di parte del peso direttamente sul sedile.

Fig. 4 Posizione corretta dell tronco e  degli arti superiori ed inferiori del guidatore (foto tratta da “Lesioni traumatiche da cinture di sicurezza e air-bag” – Andrea Costanzo, Lombardo Editore)

Non va trascurata la necessità di frequenti seppur brevi soste nei viaggi lunghi per fare “due passi” e, per quanto detto all’inizio, rilassare la muscolatura degli occhi.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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sfinge McKenzie

FAQ METODO MCKENZIE

Cos’è il metodo McKenzie?

È un metodo di diagnosi e successivo trattamento ddelle algie della colonna vertebrale messo a punto dal fisioterapista neozelandese  Robin McKenzie verso la fine degli anni ’50.  Il metodo (nome esteso:  Metodo di Diagnosi e Terapia Meccanica secondo McKenzie)  viene oggi riconosciuto e applicato in tutto il mondo.

Come funziona?

Il metodo McKenzie si basa sul mantenimento di determinate posizioni  e sullo svolgimento di  esercizi specifici atti a trattare le  problematiche meccaniche (dovute all’assunzione di posture scorrette o all’esecuzione di movimenti dannosi). Per ogni  paziente viene messo a punto un programma diverso tenendo conto della sindrome meccanica associata a quel preciso caso clinico. La valutazione si basa sulla risposta riferita dal paziente come conseguenza ai suggerimenti del fisioterapista con un linguaggio semplice ((Meglio, Peggio, Produce, Elimina, Nessun effetto etc.)

Quali sonoi quadri diagnostici riconosciuti?

Il metodo decodifica tre sindromi meccaniche: derangement, dysfunction e postural.

Cosa si intende per Derangement?

È la situazione più frequente e variabile. Si ha per un’ostruzione meccanica al movimento (normalmente a causa di una disfunzione discale nella colonna). È caratterizzata dalla cosiddettta “Preferenza Direzionale”, ovvero il miglioramento della sintomatologia quando si va in una direzione di movimento. Ad esempio nel  caso di un dolore lombare irradiato ad un arto che, in risposta alla flessione laterale del tronco, recede progressivamente verso la schiena (centralizzazione del dolore).

Cosa si intende per Dysfunction?

In questa sindrome è un  tessuto lesionato l’origine del dolore. Il processo cicatriziale sottoposto a stress meccanico riproduce il dolore originario (tipica la pregressa lesione muscolare che a riposo è silente e produce lavoro solo sotto sforzo.

Cosa si intende per Postural?

Non sussiste  nessuna alterazione  patologica dei tessuti. Il dolore è prodotto da un carico meccanico nel lungo periodo (assunzione di una postura scorretta) e scompare al venire a mancare di questa condizione.

Quali sono i punti di forza del metodo?

Il soggetto è messo al centro del progetto riabilitativo puntando sulla consapevolezza del proprio stato di salute e rendendolo parte attiva del trattamento mediante l’esecuzione di compiti facili e poco impegnativi: non sono richieste apparecchiature  né grossi spazi di tempo.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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FAQ DIASTASI ADDOMINALE

Cos’è la diastasi addominale?

La diastasi addominale è la separazione eccessiva della parte sinistra e dalla parte destra del muscolo retto addominale lungo iltessuto connettivo che costituisce la linea alba. La condizione è molto frequente  dopo una gravidanza, ma  può interessare anche gli uomini: persone anziane, persone  in forte sovrappeso e chi pratica un’attività fisica troppo intensa. In alcuni casi è congenita.

Come si diagnostica?

II medico solitamente riconosce la diastasi addominale attraverso il solo esame clinico. In caso di dubbi può consigliare  di eseguire una risonanza magnetica  o un’ecografia della parete addominale, utile anche per per valutarne l’entità.

Normalmente, la larghezza della linea alba è in età adulta:

  • 15 mm a livello dell’origine al  processo xifoideo (sterno)
  • da 22 mm fino a 3 cm a livello ombelicale
  • da 16 mm fino a 2 cm al di sotto dell’ombelico.

Come si valuta  la gravità?

Una larghezza maggiore di 2 cm della linea  alba è considerata patlogica e abbiamo:

  • diastasi di grado lieve con larghezza inferiore a 3 cm
  • diastasi di grado moderato con larghezza dai 3 ai 5 cm
  •  diastasi di grado severo con larghezza maggiore di 5 cm,

Abbiamo poi, a seconda della localizzazione, la distinzione in diastasi è completa, da sterno a pube, diastasi sotto ombelicale e diastasi sovraombelicale.

Quali sono i sintomi?

Il primo segnale della diastasi addominale è l’eccessivo gonfiore della pancia: nelle donne che hanno partorito molto accentuato anche dopo più di un anno dal termine della gravidanza. Spesso si verificano difficoltà digestive e respiratorie, senso di pesantezza al pavimento pelvico, incontinenza, peristalsi evidente a occhio nudo oltre a  dolori articolari lombari e al bacino.

Nei casi più gravi, la conseguenza può essere un’ernia

Cosa non si può fare con la diastasi addominale?

Sono da evitare gli esercizi più classici dei muscoli retti addominali tipo il crunch e il sit-up che determinano aumento della pressione intra addominale, esercitando una vera e propria spinta dei visceri addominali verso l’esterno.

Come si cura?

Oggi spesso si riesce ad evitare l’intervento chirurgico di addominoplastica mettendo a punto con un fisioterapista un programma di esercizi isometrici e di ginnastica ipopressiva coi quali si permette di lavorare i muscoli addominali facilitando il riavvicinamento delle fibre muscolari di destra a quelle di sinistra permettendo il recupero del tessuto connettivo della linea alba.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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Tecar Fisiowarm

FAQ TECAR

Che cos’è la Tecar?

La Tecar è un apparecchio elettromedicale in grado di provocare un aumento della temperatura dei tessuti trattati  mediante induzione di corrente elettrica ad alta frequenza: la mobilitazione che avviene sulle cariche elettriche del corpo genera calore e contemporaneamente alleggerisce il tessuto infiammato, imbibito di liquido, edematoso.

Quando si usa la Tecar?

Le principali indicazioni dell Tecar sono sulle patologie dell’apparato muscolo-scheletrico: condropatie, artrosi, tendiniti e tendinosi, lesioni legamentose e muscolari, traumi contusivi con edema e/o ematoma, riabilitazione post-operatoria. Trova applicazione anche nel trattamento delle cicatrici e recentemente nel campo dell’estetica: cellulite, smagliature e rughe.

Come si svolge una seduta di Tecar?

La seduta si svolge  con la parte da trattare nuda, esposta al fisioterapista che dopo aver applicato della crema per aumentare la conducibilità del manipolo che entra a contatto con la cute esegue dei movimenti circolari lenti, confrontandosi con la sensazione del paziente che deve percepire un calore gradevole. Generalmente durante la seduta si usano due manipoli di materiale diverso: uno per la fase capacitiva con cui si lavora sui tessuti più superficiali e uno per la fase resistiva con la quale si raggiungono i tessuti più duri e profondi.  Una piastra metallica viene posizionata normalmente sul corpo del paziente in posizione opposta dalla zona da trattare. Le più moderne apparecchiature Tecar possono lavorare anche senza utilizzare questa seconda piastra disponendo di manipoli con elettrodi bipolari.

Quanto dura una seduta di Tecar?

Le sedute di Tecar durano in media 30 minuti, si riduce il tempo su zone particolarmente piccole  e si può arrivare a 40 minuti quando la zona è particolarmente estesa.

Quante sedute di Tecar si fanno?

La Tecar viene solitamente prescritta in cicli da 5 o 10 sedute, non è raro che i benefici siano apprezzabili già dalla prima o seconda applicazione. Solitamente si eseguono 3 sedute a settimana che possono essere ridotte a 2 nei casi meno acuti.

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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cerotto colorato

FAQ “CEROTTI COLORATI”

A cosa servono i cerotti colorati?

I cerotti colorati, tecnicamente Taping Neuromuscolare®, sono cerotti utili al completamento di una seduta di fisioterapia, permettendo al paziente a cui vengono applicati di continuare a ricevere un effetto massaggiante sulla zona affetta da edema, o da problematica muscolare.

Come agisce il cerotto colorato?
Il cerotto agisce senza principio farmacologico ma sfruttando la propria elasticità; proprietà meccanica che in funzione di come viene applicato può svolgere un massaggio ad effetto drenante un edema , rilassante o facilitante un muscolo. Il diverso effetto si ottiene sfruttando l’elasticità dello stesso in modo differente, per questo deve essere applicato da professionisti specializzati e non può essere un metodo di autocura.

Il  diverso colore dei cerotti cosa significa?
Il  diverso colore dei cerotti non ha valore sull’effetto terapeutico ricercato. La gamma di colori nasce come scopo di andare incontro alle esigenze di ch soffre di allergie a diversi tipi di colorante, poi forse è si è aggiunto il piacere del vezzo estetico….

Quanto tempo può essere tenuto il cerotto?

Di norma può resistere qualche giorno: viene tolto quando non è più adeso alla zona trattata: i frammenti dell’applicazione originale confezionata dal fisioterapista perdono l’efficacia. Abbastanza resistente all’acqua, si raccomanda però di non strofinarlo durante la doccia e l’asciugatura. Alla seduta successiva sarà il terapista a valutare la necessità e utilità di una nuova applicazione.

Il  cerotto colorato ha controindicazioni?

L’assenza di farmaco lo rende innocuo e utilizzabile a tutte le età. Come per i massaggi se ne deve valutare l’utilizzo in caso di neoplasie, patologie sistemiche e donne in gravidanza. In traumatologia sportiva  può essere usato immediatamente per evitare l’edema eccessivo. Si raccomanda di escludere allergie al colorante del colore scelto e alle colle.

Quali sono le principali applicazioni?

Nonostante si veda spessissimo utilizzato dagli sportivi, negli anni ha conquistato interesse come coadiuvante della fisioterapia in molte patologie sia ortopediche (tendiniti, tunnel carpale, contratture, cicatrici chirurgiche) che neurologiche (parkinson, neuropatie, etc. etc.)

Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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ginnastica posturale

FAQ GINNASTICA POSTURALE

Cosa si intende per ginnastica posturale?

La ginnastica posturale è un insieme di esercizi mirati a ripristinare l’equilibrio delle tensioni dei muscoli del nostro corpo e di conseguenza alla posizione dello scheletro nello spazio. Esso, infatti, si sposta fisicamente da una parte o dall’altra in risposta al muscolo più forte, contratto, che lo “tira” a sé.  Quando questa trazione è cronica , indipendente dalla volontà dell’individuo, il corpo assume nel tempo una postura sbagliata.

A cosa serve la ginnastica posturale?

La ginnastica posturale, mirando al riequilibrio muscolare, permette all’individuo nello svolgimento delle normali attività quotidiane, di assumere la giusta postura, ed eseguire tutti  i movimenti in modo  più efficiente,  diminuendo al massimo il carico sulle articolazioni più sensibili, prevenendo e riducendo la sintomatologia dolorosa.

Che esercizi si fanno nella ginnastica posturale?

Gli esercizi di ginnastica posturale prevedono un importante lavoro sulla respirazione: è il movimento più ripetuto della nostra giornata ed è fondamentale che venga svolto nel modo migliore, anche e soprattutto per garantire corretta ossigenazione a tutti i tessuti. Altro aspetto importante da cui incominciare è la presa di coscienza del proprio corpo nello spazio per cui degli esercizi propriocettivi con cui prendere consapevolezza dei propri difetti posturali saranno il punto da cui partire per lavorare sulla correzione che avviene perlopiù con esercizi di allungamento muscolare mirati a quei muscoli che avremo scoperto troppo “corti“.

Quante volte a settimana si fa la posturale?

Solitamente le sedute, rigorosamente  individuali (gli esercizi devono essere personalizzati, mirati a correggere la postura del soggetto trattato), hanno cadenza settimanale: il corpo deve comunque avere tempo e modo di adattarsi ai piccoli cambiamenti che di volta in volta avvengono. Se eseguita con regolarità, la ginnastica darà in poche settimane i suoi apprezzabili risultati.

Quali sono i benefici della ginnastica posturale?

Oltre ai prevedibili vantaggi offerti al sistema muscolo scheletrico, la ginnastica posturale rivendica i suoi  benefici effetti anche sul sistema cardiocircolatorio (regolarizzazione della pressione sanguigna e riduzione stasi venosa e linfatica), su quello digerente (miglioramento della funzionalità gastrica ed intestinale) e sulla gestione dello stress psico-fisico (maggiore capacità di concentrarsi e di rilassarsi).

 Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

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linfodrenaggio manuale

FAQ LINFODRENAGGIO MANUALE

Cosa si intende per drenaggio linfatico manuale?

Il linfodrenaggio manuale (DLM) è un particolare tipo di massaggio che si pratica in tutte le situazioni in cui si presenta una difficoltà della circolazione linfatica in alcuni distretti corporei.

Cos’è la circolazione linfatica?

Il sistema circolatorio linfatico è un sistema di trasporto più o meno parallelo a quello venoso con lo scopo di riportare i liquidi ricchi di “scorie” dai tessuti periferici al sistema circolatorio previa  depurazione  attraverso il passaggio  negli organi preposti a questo scopo. Lungo i vasi sono presenti delle piccole ghiandole che funzionano come delle piccole cisterne di raccolta della linfa: i linfonodi

Come si fa il drenaggio linfatico?

Il massaggio prevede delle manovre molte delicate nel rispetto dei vasi linfatici che rispondono a pressioni molto leggere. Le manovre sono  eseguite nelle due direzioni del segmento corporeo che si va a trattare: in un verso si richiamano i liquidi all’interno dei vasi linfatici e nell’altro si “spingono” dalla periferia al centro. Una terza manovra si pratica direttamente sui linfonodi per agevolarne lo svuotamento e quindi permettere che ricevano la linfa drenata.

A chi è indicato il massaggio linfodrenante?

È utile in tutti i casi in cui si presenta ritenzione idrica: traumi, post-chirurgia, sofferenza congenita del sistema circolatorio, mesi caldi, vita sedentaria e costituisce uno dei trattamenti da attuare nel caso di panniculite fibroematosa (cellulite).

Quante sedute di linfodrenaggio per avere risultati?

Un buon ciclo di terapia prevede circa 10 sedute con frequenza di norma almeno bisettimanale, da calibrare in base alla situazione clinica valutata al primo incontro con il fisioterapista. D’obbligo in alcuni casi prevedere un programma di mantenimento con sedute mensili

Cosa succede dopo un massaggio linfodrenante?

L’effetto del drenaggio linfatico è normalmente immediato nella riduzione dei liquidi in eccesso localizzati con immediata riduzione del volume della zona trattata e attivazione del sistema emuntorio con aumentato bisogno di minzione nelle ore successive al trattamento. Ovvio che per stabilizzare i benefici si necessita di più sedute.

 Tiziana Bini, Dott.ssa in Fisioterapia

 

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Artrosi

L’ artrosi è il processo di degenerazione, normale espressione dell’invecchiamento dei tessuti articolari   che può presentarsi precocemente nelle articolazioni sottoposte a particolari carichi.

Coinvolge in prima istanza la cartilagine che si assottiglia. Questo provoca maggiore sollecitazione anche del tessuto osseo durante i movimenti articolari che risponde intensificando i depositi di calcio. Da qui la formazione degli osteofiti (i “beccucci ossei” visibili in radiografia) che provocano a loro volta sfregamento e infiammazione con conseguente limitazione del movimento e dolore.

Fattori facilitanti il processo sono: l’obesità, sollecitazioni meccaniche e traumatologiche (per esempio in chi pratica sport particolarmente intensi e usuranti),  malformazioni, dismorfismi posturali, infiammazioni, osteoporosi (per questo la maggior incidenza nelle donne nell’età post-menopausa).
In Italia soffrono di artrosi circa 4 milioni di individui dopo i quarant’anni con picco d’incidenza dopo i settanta.

La sintomatologia è molto soggettiva e non necessariamente congruente al quadro radiologico. La fisioterapia trova indicazione innanzitutto nella prevenzione e nel rallentamento del processo educando il paziente a un movimento e una ginnastica che mantenga l’articolazione sana, in movimento ma senza eccessive sollecitazioni.

Nelle fasi acute il medico può consigliare dei farmaci a cui è consigliabile comunque affiancare terapie fisioterapiche:

  • il massaggio terapeutico  per decontrarre i muscoli che se sono ipertonici (“rigidi”) aumentano la limitazione dei movimenti e la percezione del dolore;
  • mobilizzazioni assistite per recuperare libertà articolare;
  • ginnastica posturale allo scopo di  equilibrare il carico;
  • ginnastica attiva con una serie di esercizi da ripetere a casa;
  • educazione al modo migliore per svolgere le normali attività quotidiane senza stressare ulteriormente strutture già danneggiate.
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